Stampa

Con questa sezione il CRSL-M vuole ricordare e valorizzare l’opera di  quanti, accademici e non, massoni o ‘profani’, hanno dedicato buona parte delle  loro ricerche alla storia della massoneria in modo onesto, serio e scientifico.

Questa sezione è dedicata al fondatore del Centro, Augusto Comba, commemorato attraverso il ricordo di Marco Novarino, che fu suo allievo e che collaborò fin dal primo istante alla realizzazione di questo progetto.

 

Augusto Comba rimane una delle figure più intelligenti e oneste che il Grande Oriente d’Italia abbia avuto nel secondo dopoguerra.

Ricordare un amico, un maestro è sempre difficile. Sono tanti i ricordi che riaffiorano: in alcuni casi confusamente, in altri in modo più nitido; ma tutti mi fanno comunque pensare al debito di riconoscenza che ho – come molti fratelli e amici – nei suoi confronti e al grande regalo che ha voluto farmi regalandomi la sua amicizia per oltre vent’anni.

Conobbi Augusto nel settembre del 1988. Ricordo bene quel periodo perché attraversavo un momento difficile e doloroso della mia vita,  pochi giorni prima era morta mia madre. Andai a trovarlo perché, da circa due anni, mi stavo interessando di storia della massoneria e speravo dunque di poter reperire nel suo archivio privato un documento fondamentale per le ricerche che stavo allora compiendo. Avevo avuto modo di incontrarlo tempo addietro in occasione di un convegno ma non lo conoscevo personalmente: mi presentai con timore reverenziale, lo stesso che può avere uno studente che si avvicina a un professore stimato. Invece lui mi accolse con un sorriso dolce e aperto, e quella che doveva essere una visita fugace fatta per consultare un documento si trasformò in un piacevole pomeriggio trascorso a parlare di storia: non solo della massoneria, ma anche del mazzinianesimo, della riforma protestante e di altro ancora. Rimasi profondamente affascinato e colpito da tanta cultura, una cultura che a ogni mia domanda forniva sempre una risposta chiara e concisa, data però senza alcuna supponenza o saccenteria.

Quando mi congedai da lui ricordo ancora che mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: «Venga di nuovo a trovarmi, credo che abbiamo ancora molte cose da dirci». E così fu. Ci incontrammo innumerevoli volte, in occasione delle quali si avviò una forte e fraterna amicizia, un vero e proprio rapporto discepolo-maestro in cui tuttavia, non raramente, i due ruoli si capovolgevano in virtù di quella sua onestà intellettuale e capacità di ascolto che lo spingevano continuamente a voler imparare quando si finiva per parlare di argomenti che non conosceva. In una di queste lunghe, appassionate, istruttive discussioni su quanti erano i momenti della storia della massoneria che meritavo di essere analizzati e studiati, sulla necessità di non disperdere documenti e archivi, sull’obbligo morale che avevamo di dare un aiuto concreto ai giovani ricercatori, che nacque l’idea di creare un centro di ricerca che ponesse al centro della sua mission la conservazione della memoria latomistica. Discutemmo a lungo su che nome dargli e ricordo, come fosse ieri, il suo sottolineare i principi di una ricerca storica seria, con una solida base scientifica alle spalle, fatta sui documenti anche quando questi ci restituivano verità scomode. L’8 maggio 1997, due giorni prima del mio quarantesimo compleanno, presso un notaio di Pinerolo nacque  il Centro di Ricerche Storiche sulla Libera-Muratoria e fu lo stesso Comba a volere usare quest’ultimo ternine perché spesso ripeteva che la massoneria era nata nel 1717 ma senza le solide radici ereditate dalla tradizione liberomuratoria non sarebbe vissuta fino ai nostri giorni.

 Da lui non ho soltanto appreso nozioni di storia, ma ho anche capito cosa vuol dire essere un laico impegnato e, al contempo, un convinto credente. Ancor oggi, ogni volta che leggo o sento qualcuno che pone sullo stesso piano – quasi di trattasse di una rigida equazione – i concetti di ateismo e di laicità sorrido e penso ad Augusto: sarebbe bastato andare a trovarlo nella sua casa di Torre Pellice e parlargli per cambiare idea.

Oltre che con la parola e con gli scritti, ritengo che Augusto Comba abbia trasmesso a molti di quanti l’hanno conosciuto e amato un forte insegnamento con il proprio agire da uomo – come si legge nei rituali massonici – «libero e di buoni costumi». Egli ha sempre rivendicato con orgoglio la sua appartenenza alla massoneria, e lo fece fin dal primo giorno, quando venne iniziato, nel lontano 1949, nella loggia «Hiram» di Torino; o quando, con Riccardo Sacco, fondò negli anni cinquanta la rivista Ipotenusa e organizzò a Torino un incontro di giovani massoni. Continuò a farlo anche in anni in cui ciò era in qualche modo sconsigliabile, quando cioè la vicenda della P2 divenne di pubblico dominio (quella P2 della quale lui e pochi altri avevano sin dall’inizio denunciato la pericolosità, non tanto per la vita del Paese, ma per quella del Grande Oriente d’Italia, per la sua immagine e la sua reputazione). E la sua integrità e rettitudine morale non venne mai meno, anche se ciò gli costò nei fatti pesanti critiche da parte di chi, come Giordano Gamberini, aveva condiviso con lui il difficile ruolo di membro della Giunta del Grande Oriente d’Italia per nove lunghi anni (dal 1961 al 1967 Comba ricoprì la carica di 2° Gran Sorvegliante e, successivamente, quella di 1° Gran Sorvegliante dal 1967 al 1970).

Di questo suo essere massone era a conoscenza il suo amico Alessandro Galante Garrone, che Comba sostituì degnamente, per un certo periodo, alla cattedra di Storia del Risorgimento presso l’ateneo torinese; ne erano consapevoli i suoi stessi confratelli valdesi, che ne stimavano non solo le doti umane e scientifiche, ma anche il coraggio intellettuale, e la nomina a direttore responsabile del Bollettino della società per gli Studi valdesi ne rappresentò un’inequivocabile conferma; lo sapevano anche alla UTET, la casa editrice per la quale lavorò alcuni anni, contribuendo alla crescita culturale della società italiana: per i suoi tipi curò infatti gli Scritti politici di Giuseppe Mazzini, il suo maestro (come lui stesso amava affermare).

Una scelta, la sua, di cui tutti erano a conoscenza; una scelta, in ogni caso, rispettata in virtù di una coerenza e di una trasparenza che anche coloro i quali della massoneria non avevano una buona considerazione riconoscevano pienamente.

Un altro insegnamento ‘forte’ che Augusto Comba ci ha trasmesso è stato quello di difendere con coraggio le proprie idee pur accettando il confronto e il dialogo e di considerare chi la pensava diversamente un avversario, da contraddire ma sempre da rispettare, e non un nemico. Mai, e sottolineo mai, lo sentii usare termini volgari o spregiativi nei confronti dei suoi avversari, né allusioni maliziose, né attacchi personali: solo e sempre una sana e coerente dialettica. Ogni tanto, sfogliando le vecchie annate di Hiram – la rivista del Grande Oriente d’Italia che Comba diresse dal 1982 al 1994 – alla ricerca di articoli per le mie ricerche mi capita ancora di imbattermi negli editoriali dai quali traspare tutta la sua cultura, il suo equilibrio, la strenua difesa di quella massoneria pulita e trasparente che egli voleva ardentemente non deviasse trasformandosi in altro. Sapeva che, come tutte le organizzazioni umane, anche in questa alcune volte qualcuno sbagliava o altri ne approfittavano per salvaguardare i propri interessi personali. Mi ripeteva che «gli uomini sono deboli e se ne vanno, mentre l’Istituzione è forte e continua a vivere». Un ultimo ricordo, forse quello più commovente. Nel 2003, per festeggiare il suo ottantesimo compleanno con il sostegno del compianto Presidente del Collegio dei Maestri Venerabili del Piemonte e della Valle d’Aosta, Silvio Pilocane, organizzai nella sua Torre Pellice un convegno sui temi a lui cari a cui aveva dedicato tanti studi: la massoneria, il repubblicanesimo e il protestantesimo. Il convegno fu un vero successo, sia per il pubblico accorso sia per la qualità dei relatori intervenuti. Ma il momento più bello e toccante fu quando venne insignito della massima onorificenza del Grande Oriente d’Italia, la Giordano Bruno classe oro, come disse lo stesso Gran Maestro un gesto riparatore, meritandola per la verità molti anni prima. In quel momento sul viso di quell’anziano, minuto fratello scesero lacrime di autentica commozione, le stesse lacrime che hanno solcato il mio viso quando seppi della sua scomparsa.